IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                           Sezione seconda 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 2621 del 2015, proposto da: 
        Nts Network S.p.A, in persona del suo  legale  rappresentante
pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati  Adriano  Tortora,
Carmelo Barreca e Federico Tedeschini, con i quali  e'  elettivamente
domiciliata  in  Roma,  largo  Messico  n.  7,   presso   lo   studio
dell'avvocato Federico Tedeschini; 
    Contro la Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  il  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze  e  l'Agenzia  delle  dogane  e  dei
monopoli,  in  persona  dei  rispettivi  legali  rappresentanti   pro
tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato,
con la quale sono domiciliati per legge in Roma, via  dei  Portoghesi
n. 12; 
    E con l'intervento di ad adiuvandum: 
        Associazione  concessionari  apparecchi  da   intrattenimento
(A.C.A.D.I.), in persona del suo legale rappresentante  pro  tempore,
rappresentata  e  difesa  dall'avvocato  Carlo  Geronimo  Cardia,  ed
elettivamente domiciliata in Roma, viale dei Parioli  n.  24,  presso
studio del predetto avvocato; 
    Per l'annullamento del decreto dell'Agenzia delle  dogane  e  dei
monopoli protocollo n. 4076 del 15 gennaio 2015, con il  quale  -  in
attuazione dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014 - e' stato
stabilito che la societa' ricorrente debba versare, per l'anno  2015,
l'importo di euro 8.033.166,09, suddiviso in due rate,  di  cui  una,
pari al 40%, entro il 30 aprile 2015 ed una, pari al 60%, entro il 31
ottobre 2015, previa disapplicazione, per contrasto con  il  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea, ed eventuale  rimessione  alla
Corte di giustizia o alla Corte  costituzionale  dell'art.  1,  comma
649, della legge n. 190/2014; 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in  giudizio  delle  amministrazioni
intimate; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Relatore alla pubblica udienza del  giorno  21  ottobre  2015  il
consigliere Silvia Martino; 
    Uditi gli avvocati; 
    1. La societa' ricorrente espone di essere in atto concessionaria
del servizio pubblico di attivazione  e  conduzione  operativa  della
rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante  apparecchi
da  divertimento  ed  intrattenimento,  nonche'  delle  attivita'   e
funzioni connesse. 
    Tanto, in virtu' della  convenzione  di  concessione,  di  durata
novennale, sottoscritta in data  20  marzo  2013,  all'esito  di  una
procedura idoneativa di selezione. 
    Inoltre, l'equilibrio sinallagmatico del rapporto concessorio  e'
stato fortemente inciso in peius  da  altri  avvenimenti,  quali,  il
significativo  aumento  del  PREU   nel   settore   delle   VLT,   il
significativo   restringimento   della   commercializzazione    delle
attivita' concessorie, cui ha fatto seguito l'introduzione di griglie
che ormai limitano lo svolgimento delle attivita' sul territorio,  la
diffusione, in virtu' di provvedimenti di ADM, di VLT on-line ecc. 
    Cio' nondimeno, con l'intervento selettivo  di  cui  all'art.  1,
comma  649,  della  legge  n.  190/2014  -  che  colpisce   solo   ed
esclusivamente  gli   attuali   13   concessionari   del   gioco   da
intrattenimento, sfavorendone ed alterandone ulteriormente la  libera
concorrenza,  e   travolgendone   ogni   legittimo   affidamento   al
mantenimento dei diritti  economici  quesiti,  come  stabiliti  negli
accordi contrattuali sottoscritti  e  vigenti  -  il  legislatore  ha
imposto unilateralmente ai suddetti 13 concessionari  una  ulteriore,
significativa riduzione dei loro compensi,  realizzata  imponendo  ex
abrupto il versamento  di  euro  500  milioni,  annui,  da  ripartire
all'interno della cosiddetta filiera, ciascuno in quota proporzionale
al numero degli apparecchi  ad  essi  riferibili  alla  data  del  31
dicembre 2014. 
    La ripartizione della  quota  degli  oneri  aggiuntivi  e'  stata
effettuata con il provvedimento oggetto dell'odierna impugnativa.  Da
esso, risulta che la ricorrente dovra' versare in due tranches, entro
il 30 aprile 2015 (per il 40%) ed entro il 31 ottobre  2015  (per  il
60%), l'importo, da essa ritenuto stratosferico e sproporzionato,  di
euro 8,033 milioni. 
    Non si, tratta di una imposizione una tantum, ma  di  una  misura
destinata ad avere applicazione indefinita nel tempo. 
    Con il presente ricorso, deduce: 
A) VIZI DEL DECRETO AD DEL 15 GENNAIO 2015. 
1) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell'art.  1,
comma  649,  della  legge  n.   190/2014.   Violazione   del   giusto
procedimento. Violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  3  della
Convenzione di concessione. Eccesso di potere per arbitrio e  difetto
di motivazione. 
    L'importo di 500 milioni annuo va sottratto agli aggi e  compensi
complessivamente  spettanti  per  l'intera  filiera.  L'obbligo   del
versamento dei 500 milioni di euro e' stato previsto, pero',  solo  a
carico del concessionario mentre nulla e' stato  previsto  in  ordine
alle modalita' di  raccolta  tra  concessionari  ed  operatori  della
filiera, sebbene questi ultimi siano  stati  onerati  di  versare  ai
concessionari l'intero ammontare della raccolta del gioco. 
    Inoltre, nulla si afferma  circa  le  conseguenze  in  ordine  al
mancato versamento del dovuto da parte di gestori ed  esercenti,  con
la conseguenza che, di fatto, a parte la denuncia  all'a.g.  prevista
dalla lettera a) dell'art. 1, comma  649  della  legge  n.  190/2014,
viene  chiesto   ai   13   concessionari   di   assumersi   l'obbligo
dell'anticipazione delle somme dovute, salvo  eventuale  recupero  in
sede civile. 
    Sono state quindi introdotte plurime modifiche della  convenzione
di  concessione  (in  materia  di  misura  del  compenso   economico,
variazione delle modalita' dei flussi di pagamento,  contenuto  delle
obbligazioni dei contratti con i terzi incaricati)  che  ADM  non  ha
trasfuso  in  un  apposito  atto  integrativo,  cosi'  come  previsto
dall'art. 3 della convenzione. 
2) Violazione della riserva di legge. Violazione e falsa applicazione
della stessa legge n. 190/2014. 
    Il  decreto  impugnato  istituisce  un  «codice  tributo»   senza
considerare che la  legge  e'  intervenuta  soltanto  sul  piano  dei
compensi contrattuali. 
B) VIZI DELLA LEGGE-PROVVEDIMENTO DI CUI ALL'ART. 1, COMMA 649, LEGGE
N.  190/2014,  E  CONSEGUENTE  ILLEGITTIMITA'  DERIVATA  DEL  DECRETO
DIRETTORIALE INDICATO SOTTO LA LETTERA A). 
1) Violazione del principio del legittimo  affidamento  di  rilevanza
europea e del principio di buon andamento, quale  principio  generale
del diritto. Eccesso di potere ed evidente sproporzione  degli  oneri
gravanti  sui  concessionari.   Violazione   dei   diritti   quesiti.
Violazione dell'art. 1, prot. 1, della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali.
Violazione e contrasto con gli articoli 3, 41, 42,  97  e  117  della
Costituzione. 
    Come gia' evidenziato, la nuova convenzione  di  concessione,  ha
previsto  gravosi  impegni  finanziari,   quali,   ad   esempio,   la
predisposizione di una fideissione pari  a  6  milioni  di  euro,  un
esborso pari ad euro 1.010.000,00 per il rilascio dei nulla osta  per
l'installazione dei nuovi apparecchi,  un  costo  totale  per  oneri,
concessori pari a 9 milioni di euro, un costo di euro 285.000,00  per
far fronte alle nuove previsioni in materia di georeferenziazione. 
    A tale quadro, si sono poi aggiunti, oltre l'aumento del PREU, la
proliferazione di vincoli locali alla  diffusione  delle  AWP  e  VLT
nonche' la diffusione del gioco on-line. 
    Invece di procedere al riequilibrio del rapporto concessorio,  il
legislatore,  con   le   disposizioni   in   esame,   ha   modificato
ulteriormente in peius i diritti quesiti e le  condizioni  economiche
consacrate nella convenzione di concessione  stipulata  il  20  marzo
2013,  in   violazione   del   principio   di   affidamento   e   non
discriminazione, come previsti nella Convenzione europea dei  diritti
dell'uomo. 
    Parte ricorrente precisa che tali modifiche non hanno  riguardato
ne' profili di ordine pubblico ne' profili  di  controllo  bensi'  un
mero materiale peggioramento delle condizioni economiche. 
    L'intervento e' poi palesemente sproporzionato  ed  in  contrasto
con  l'art.  1,  protocollo  1,  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che
tutela i diritti di aspettativa economica, risolvendosi in una  sorta
di esproprio illegittimo di diritti  economici  non  accompagnato  da
alcun indennizzo. 
    Cita, al  riguardo,  le  sentenze  Tre  Traktorer  contro  Svezia
(1989), Pine Valley/Irlanda (1991), Oneryildiz /Turchia (2002). 
    La norma e' comunque in contrasto con gli articoli 3, 41, 52 e 97
della Costituzione. 
2) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione delle  regole
della concorrenza.  Violazione  degli  articoli  da  101  a  106  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.  Violazione  e  falsa
applicazione degli articoli 3 e 97, della Costituzione. 
    Le  disposizioni  qui  in  esame  incidono  selettivamente   solo
sull'attivita' dei 13  concessionari  del  gioco  da  intrattenimento
tramite gli apparecchi previsti dall'art. 110,  comma  6,  del  Testo
unico delle leggi  di  pubblica  sicurezza,  mentre  nessuna  analoga
misura e' prevista per gli altri giochi. 
    Esse si pongono in contrasto sia con gli  articoli  3,  41  e  97
della Costituzione, che con l'art. 117 della Carta  fondamentale,  in
relazione alla norma interposta contenuta nell'art. 1, protocollo  1,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. 
    Parte ricorrente le ritiene comunque disapplicabili, in quanto in
palese contrasto anche con gli articoli 101, 102 e 106  del  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea. 
3)  Violazione  di  legge.  Violazione  e  falsa  applicazione  degli
articoli  106  e  107  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea. Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 97  della
Costituzione. 
    La misura, che colpisce solo i concessionari del gioco attraverso
gli apparecchi da intrattenimento, si risolve in una sorta  di  aiuto
di Stato a favore degli altri operatori del settore  (cfr.  Corte  di
giustizia, 26 settembre 2014, sezione V, nella causa T-601/11). 
4) Eccesso di  potere  per  irragionevolezza  manifesta.  Eccesso  di
potere per violazione dei principi di libera concorrenza. 
    L'art. 1,  comma  649  della  legge-provvedimento  impugnata,  ha
disatteso il criterio di  progressivita'  prefigurato  dall'art.  14,
comma 2, lettera  g)  della  legge  delega  11  marzo  2014,  n.  23,
richiamato dalla  legge  di  stabilita'  e  posto  quale  presupposto
dell'intervento normativo. 
    Il  criterio  utilizzato  e',  invece,  quello  del   numero   di
apparecchi posseduti col risultato che, ad esempio, il concessionario
che gestisce apparecchi con  scarso  rendimento,  si  trova  a  dover
versare allo Stato le stesse identiche somme che  dovra'  versare  un
concessionario che gestisce un apparecchio allocato  in  ricche  zone
del nord, dove il rendimento e' di 1.000, 1.500 euro al giorno. 
5) Eccesso di  potere  per  irragionevolezza  manifesta  sotto  altro
profilo. 
    La legge impone la modifica della gestione dei flussi finanziari,
imponendo al concessionario di ricevere le somme, senza  operare  e/o
consentire la compensazione, ed imponendo, poi, di riversare le somme
ai gestori, effettuando  in  tal  modo  per  ogni  periodo  contabile
migliaia di bonifici. 
    Cio' provoca una intromissione nella liberta' contrattuale ed  un
maggior costo, sia in termini di operazioni bancarie, sia in  termini
di risorse/uomo da destinare all'esecuzione dei bonifici. 
    Del  tutto   irrealizzabile   e',   infine,   la   rinegoziazione
obbligatoria dei contratti, essendo evidente che non si puo'  imporre
ex lege ai concessionari di rinegoziare unilateralmente  i  contratti
gia' stipulati e vigenti con  i  propri  gestori,  riproducendosi  «a
cascata»,  la  violazione   dei   diritti   quesiti   dei   contratti
privatistici stipulati inter partes. 
    La  rinegoziazione,  per  giunta,  (che  andra'  effettuata  solo
laddove si intendano variare le condizioni contrattuali), e' prevista
con modalita' che parte ricorrente ritiene quasi «estorsive». 
    I  concessionari  dovrebbe  infatti  imporre  unilateralmente  ai
gestori una modifica contrattuale, poi dovrebbero far leva sul  fatto
di avere «i soldi in mano»,  rifiutandosi  di  erogare  il  legittimo
compenso ai gestori ed  esercenti  che  hanno  eseguito  la  raccolta
(senza la cui collaborazione non vi sarebbe ovviamente  stata  alcuna
raccolta e nessun provento per l'erario), in mancanza di  adesione  e
sottoscrizione dei contratti rinegoziati. 
    In questo modo diventa pero' pressoche' impossibile assicurare la
raccolta. 
6) Eccesso di potere per irragionevolezza manifesta sotto ulteriore e
diverso profilo. 
    Pure censurabile e' il riferimento  al  numero  degli  apparecchi
posseduti alla data del 31 dicembre 2014, ove si consideri  che,  nel
corso  del  2015,  un  concessionario  potrebbe  dismettere   (ovvero
acquisire) un certo numero di apparecchi, senza che cio' abbia alcuna
influenza sulla somma da versare. 
    Si sono costituite, per resistere, le amministrazioni intimate. 
    E' altresi' intervenuta, ad adiuvandum, l'Associazione A.C.A.D.I. 
    Con memoria del 13 marzo 2015,  la  difesa  erariale,  dopo  aver
formulato un'eccezione  di  difetto  di  legittimazione  passiva  del
Ministero dell'economia  e  delle  finanze  e  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, che non hanno  emesso  gli  atti  ex  adverso
impugnati, ha preliminarmente descritto le modalita' di funzionamento
delle reti di raccolta del gioco mediante apparecchi. 
    Ha quindi precisato che, sia  per  le  AWP  sia  per  le  WLT,  i
concessionari, i gestori e gli esercenti - quali segmenti  articolati
nella rete di raccolta - vengono compensati per le quote di attivita'
che a ciascuno competono nell'organizzazione  e  funzionamento  della
rete. 
    Il denaro con cui  tali  attivita'  vengono  compensate  proviene
dalla stesso gioco ed appartiene, in origine, allo Stato. 
    Le risorse pubbliche cui esso rinuncia per remunerare le  filiere
di raccolta del gioco, ammontano a circa 4 miliardi di euro. 
    Ribadito che i rapporti tra in vari soggetti della  filiera  sono
regolati  dal  diritto  privato,  ha  poi  descritto  il  sistema  di
remunerazione della filiera. 
    E' il concessionario che, per contratto, deve  corrispondere  una
remunerazione al gestore e all'esercente. Nella pratica, in  realta',
e' il gestore ad avere in pugno la  «cassa»,  ovvero  l'ammontare  di
denaro destinato ad essere ripartito a titolo di compensi.  La  norma
della legge di stabilita' oggetto di contestazione non  ha  istituito
un nuovo tributo  ma  ha  operato  una  riduzione  dei  compensi  dei
soggetti che compongono le filiere della raccolta di gioco  praticato
mediante apparecchi. 
    E' come se lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi a  3,5  miliardi
di euro il montante delle risorse messo a disposizione delle predette
filiere  per  la  loro  remunerazione  stabilendo  poi  una  apposita
procedura perche' questo contenimento forzoso della remunerazione  si
«spalmasse» tra i diversi soggetti interessati. 
    Il sacrificio del «taglio» solo  per  una  parte  e'  subito  dai
concessionari in quanto per il resto il sacrificio e' dei  gestori  e
degli esercenti. 
    La  rinegoziazione  potrebbe  semplicemente  avvenire  per  fatti
concludenti. 
    Poiche' il quantum della remunerazione, nei contratti di filiera,
non e' stabilito in misura fissa  bensi'  percentuale  rispetto  alla
raccolta, non vi sarebbe nulla di piu' semplice di una rinegoziazione
di un contratto la cui componente  patrimoniale  e'  in  percentuale,
purche' si accetti la minore somma complessiva da ripartire. 
    Ad  un  settore  che  da  anni  percepisce  cumulativamente   una
remunerazione di circa 4 miliardi  di  euro,  e'  stato  chiesto,  in
sostanza, di rinunciare soltanto ad un 1/8 di tale remunerazione. 
    Ad ogni buon conto i concessionari, salvo  iniziare  direttamente
azioni  recuperatorie  nei  confronti  dei   gestori,   eventualmente
«riottosi»,  potrebbero  limitarsi  a  disvelare  all'amministrazione
l'elenco dei nominativi dei soggetti inadempienti. 
    Non vi sarebbe, poi, alcuna ricaduta per il passato  della  nuova
misura, essendo la norma efficace dal 1° gennaio 2015. 
    La volonta' di intervento legislativo sugli aggi era gia' nota ai
concessionari e agli operatori di filiera, a mente  del  criterio  di
delega legislativa recato dall'art. 14, comma 2,  lettera  g),  della
legge n. 23 del 2014. 
    La decisione di  operare  in  prima  battuta  nel  settore  degli
apparecchi da intrattenimento, dipende dal fatto che tale segmento di
gioco esprime circa la meta' delle entrate erariali di tutti i giochi
praticati nel territorio dello Stato. 
    La norma  individua  un  criterio  proporzionale,  legato  ad  un
elemento oggettivo, quale il numero degli apparecchi di gioco, che e'
potenzialmente correlato agli introiti. 
    Parte   ricorrente   non   potrebbe   invocare    il    principio
dell'affidamento in quanto non vi e' stato uno  stravolgimento  degli
elementi essenziali del rapporto. 
    Ad ogni buon conto, la convenzione impegna il  concessionario  ad
agire nel rispetto della normativa dettata in materia di gioco. 
    Non saremmo, comunque, di fronte ad una  legge-provvedimento,  in
quanto la norma della legge di stabilita' incide sull'intero comparto
del gioco in esame. 
    In tale contesto, la riduzione delle somme a disposizione per  la
remunerazione della filiera  ha  una  portata  equivalente  all'1,06%
della raccolta di gioco e all'8,3% dei compensi della filiera. 
    Quanto  alle  censure  relative   al   criterio   prescelto   per
commisurare la riduzione dei compensi,  vi  sarebbe  una  tendenziale
coerenza tra il dato della raccolta  e  il  numero  degli  apparecchi
riferibili al concessionario. 
    Neppure vi  sarebbe  lesione  della  liberta'  d'impresa  ove  si
consideri che i concessionari sono agenti contabili, tenuti al  conto
giudiziale degli introiti derivanti  dalla  gestione  telematica  del
gioco lecito. 
    L'invocato art. 3 della convenzione si riferisce alle ipotesi  in
cui  si  rendano  necessarie  variazioni  delle  attivita'   tecniche
indicate nell'atto di convenzione e nel capitolato tecnico. 
    In sostanza, le prescrizioni contenute nella legge di  stabilita'
2015, per potere essere applicate ai concessionari,  non  necessitano
di essere recepite e formalizzate in un  atto  integrativo,  trovando
applicazione   le   previsioni   dell'art.   12,   secondo   cui   il
concessionario e' obbligato a versare le  somme  a  qualsiasi  titolo
dovute  non  solo  in  base  all'atto  di  convenzione  ma  anche  in
esecuzione di ogni altra norma o  provvedimento  che  disciplini  gli
apparecchi in questione. 
    Infine, la norma non ha introdotto un tributo, con la conseguenza
che ad  essa  e'  possibile  sottrarsi,  ad  esempio,  sciogliendo  i
rispettivi contratti  (tra  i  concessionari  e  ADM,  ovvero  tra  i
concessionari e gli altri operatori della filiera). 
    Con ordinanza n. 1463  del  2  aprile  2015,  e'  stata  respinta
l'istanza cautelare. 
    Il ricorso e' passato in decisione una prima volta, alla pubblica
udienza del 1° luglio 2015. 
    Con ordinanza n. 9751 del 20 luglio 2015, la Sezione ha  disposto
incombenti istruttori. 
    Segnatamente, ha richiesto al concessionario  «di  depositare  in
giudizio: 
        A) copia del conto  economico  relativo  al  bilancio  al  31
dicembre 2013 e copia del conto economico relativo al bilancio al  31
dicembre 2014, ove approvato dall'Assemblea  ordinaria,  accompagnato
da una tabella riassuntiva, per ciascuno dei  due  anni,  del  valore
aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione  al  netto
del costo delle materie prime  consumate  e  del  costo  dei  servizi
esterni  e  di  altri  eventuali  costi  di  gestione),  del  margine
operativo lordo (intendendosi per tale il valore  aggiunto  al  netto
del costo del lavoro) e del  risultato  operativo  (intendendosi  per
tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti  e  degli
accantonamenti della gestione tipica); 
        B) una  tabella  riassuntiva  dei  compensi  complessivamente
riconosciuti negli anni  2013  e  2014  agli  altri  operatori  della
propria filiera, con espressa indicazione circa l'appostazione  degli
stessi nel conto  economico  tra  i  costi  della  produzione  e,  in
particolare, tra i costi per servizi o in altra voce». 
    L'Agenzia delle dogane e dei monopoli e' stata invece onerata  di
depositare in giudizio  una  dettagliata  relazione,  per  quanto  di
propria conoscenza, in  ordine  all'aggregazione  dei  suddetti  dati
richiesti al  concessionario  ricorrente  per  l'intero  settore  dei
giochi  in  discorso,  comprensiva  di   ogni   ulteriore   eventuale
chiarimento sull'incidenza dell'intervento legislativo sui margini di
redditivita' delle imprese del settore. 
    La ricorrente  e  l'amministrazione  resistente,  per  quanto  di
rispettiva competenza, hanno adempiuto  l'incombente  istruttorio  e,
unitamente ad A.C.A.D.I., hanno prodotto altre memorie a sostegno  ed
illustrazione delle rispettive ragioni. 
    La causa e' stata  infine  trattenuta  in  decisione  all'udienza
pubblica del 21 ottobre 2015. 
    2. L'Agenzia delle dogane e dei monopoli gestisce  l'offerta  del
gioco lecito tramite apparecchi da divertimento ed intrattenimento di
cui all'art. 110, comma 6, del Testo unico delle  leggi  di  pubblica
sicurezza ed a tal fine seleziona, attraverso procedure  ad  evidenza
pubblica, i soggetti cui affidare in concessione la  realizzazione  e
conduzione della rete per la gestione telematica del gioco. 
    I  concessionari,  che  hanno  sottoscritto  una  convenzione  di
concessione di durata novennale, sono attualmente tredici. 
    Gli apparecchi da divertimento  e  intrattenimento  sono  di  due
tipi: le Amusement With Prizes (AWP)  e  le  Video  Lottery  Terminal
(VLT). 
    Le AWP sono  apparecchi  che  vengono  installati  principalmente
presso esercizi generalisti primari (come, ad esempio,  i  bar  e  le
rivendite di tabacchi), denominati «esercenti», ed  operano  con  una
posta massima di 1 euro a fronte di una possibile vincita massima  di
100 euro. Tali apparecchi, generalmente, sono acquistati o noleggiati
da operatori terzi, i cosiddetti «gestori»,  che  si  occupano  anche
dell'installazione  e  della  manutenzione  presso  gli  «esercenti»,
titolari di esercizi commerciali dotati di  specifica  autorizzazione
ai sensi del Testo unico delle leggi di pubblica  sicurezza,  a  loro
volta convenzionati con gli stessi gestori o con i concessionari. 
    Nella filiera del  comparto  delle  VLT,  invece,  e'  di  solito
assente il gestore perche' gli apparecchi sono  forniti  direttamente
dal  concessionario,  che  si  prende  carico  dell'intera   gestione
operativa degli stessi. La posta di gioco con le  VLT  e'  consentita
fino a 100 euro, mentre la vincita conseguibile arriva fino  a  5.000
euro. 
    I rapporti tra lo Stato  ed  i  concessionari  sono  regolati  da
apposite convenzioni, mentre i rapporti tra concessionari, gestori ed
esercenti sono regolati da contratti di diritto privato, che, secondo
quanto riferito dalla difesa erariale, non rispondono a modelli  tipo
redatti o approvati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli. 
    Il compenso  spettante  ai  concessionari  e'  calcolato  in  via
residuale, in quanto e' pari all'importo delle giocate dedotti: 
        - le vincite pagate ai  giocatori  (che  non  possono  essere
inferiori al 74% degli importi giocati per le AWP e  all'85%  per  le
VLT); 
        - gli importi dovuti  agli  altri  operatori  della  filiera,
gestori ed esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con
gli stessi stipulati; 
        - gli importi dovuti all'Agenzia delle dogane e dei monopoli,
principalmente a titolo di canone di concessione; 
        - gli importi dovuti all'Erario, principalmente  il  PREU  ai
sensi  dell'art.  39,  comma  13,  decreto-legge  n.  269  del  2013,
convertito con legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della
legge n. 266 del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate per  gli
apparecchi AWP ed al 5% delle giocate per gli apparecchi VLT. 
    La remunerazione  dei  concessionari  e  dell'intera  filiera  di
gestori  ed  esercenti  che  ad  essi  fa  capo,   quindi,   proviene
dall'insieme delle giocate ed e' carico  dello  Stato  in  quanto  il
denaro, una volta inserito  nell'apparecchio  da  gioco,  diviene  di
proprieta' dello Stato. 
    3. L'art. 14 della legge n. 23 del 2014 ha delegato il Governo ad
attuare «il riordino delle disposizioni vigenti in materia di  giochi
pubblici, riordinando tutte le norme in vigore  in  un  codice  delle
disposizioni sui giochi,  fermo  restando  il  modello  organizzativo
fondato  sul  regime  concessorio   e   autorizzatorio,   in   quanto
indispensabile  per  la  tutela  della  fede,  dell'ordine  e   della
sicurezza pubblici, per il contemperamento degli  interessi  erariali
con quelli  locali  e  con  quelli  generali  in  materia  di  salute
pubblica,  per  la  prevenzione  del  riciclaggio  dei  proventi   di
attivita' criminose, nonche' per garantire il regolare  afflusso  del
prelievo tributario gravante sui giochi». 
    Tra i principi e criteri direttivi cui dovra'  essere  improntato
il riordino, la lettera g) del secondo comma  prevede  la  «revisione
degli aggi e dei compensi spettanti ai  concessionari  e  agli  altri
operatori secondo un criterio di progressivita' legata ai  volumi  di
raccolta delle giocate». 
    L'art. 1, comma 649, della  legge  n.  190  del  2014  (legge  di
stabilita' per il 2015), nelle more, ha previsto che: 
        «[...] e' stabilita in 500 milioni di euro su base  annua  la
riduzione, a  decorrere  dall'anno  2015,  delle  risorse  statali  a
disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei  soggetti
che, secondo le  rispettive  competenze,  operano  nella  gestione  e
raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all'art. 110,
comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno  1931,  n.
773. Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015: 
          a) ai concessionari e' versato dagli operatori  di  filiera
l'intero ammontare della raccolta  del  gioco  praticato  mediante  i
predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate.  I  concessionari
comunicano all'Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli
operatori di filiera che non effettuano  tale  versamento,  anche  ai
fini dell'eventuale  successiva  denuncia  all'autorita'  giudiziaria
competente; 
          b) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche
loro  attribuite,  in  aggiunta   a   quanto   versato   allo   Stato
ordinariamente,  a  titolo  di  imposte  ed  altri  oneri  dovuti   a
legislazione vigente e sulla base delle convenzioni  di  concessione,
versano altresi' annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i
mesi di  aprile  e  di  ottobre  di  ogni  anno,  ciascuno  in  quota
proporzionale al numero di apparecchi ad essi  riferibili  alla  data
del 31 dicembre 2014. Con provvedimento  del  direttore  dell'Agenzia
delle dogane e dei monopoli,  adottato  entro  il  15  gennaio  2015,
previa ricognizione, sono stabiliti il numero degli apparecchi di cui
all'art. 110, comma 6, lettere a) e b), del testo  unico  di  cui  al
regio  decreto  18  giugno  1931,  n.  773,  riferibili   a   ciascun
concessionario, nonche' le modalita' di effettuazione del versamento.
Con analogo provvedimento si provvede, a  decorrere  dall'anno  2016,
previa  periodica  ricognizione,  all'eventuale   modificazione   del
predetto numero di apparecchi; 
          c) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche
loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di  filiera  le
somme residue,  disponibili  per  aggi  e  compensi,  rinegoziando  i
relativi  contratti  e  versando   gli   aggi   e   compensi   dovuti
esclusivamente  a   fronte   della   sottoscrizione   dei   contratti
rinegoziati.». 
    L'Agenzia delle dogane e dei monopoli,  con  l'impugnato  decreto
direttoriale del 15 gennaio 2015,  ai  fini  della  ripartizione  del
versamento  dell'anzidetto  importo  di  500  milioni  di  euro,   ha
individuato  il  numero  degli  apparecchi   riferibile   a   ciascun
concessionario alla data del 31 dicembre 2014, per cui  ha  ripartito
in  maniera  proporzionale  il  versamento  a   carico   di   ciascun
concessionario (alla Societa' ricorrente,  per  un  totale  di  6.654
apparecchi  riferibili,  e'  stata  imposta  una  quota  annuale   di
versamento   di   euro   8.033.166,09),   stabilendo   che    ciascun
concessionario effettua il versamento nella misura del 40%  entro  il
30 aprile 2015 e per il residuo 60% entro il 31 ottobre 2015. 
    Ne consegue che, in ragione del disposto della norma di legge  la
cui legittimita' costituzionale e'  in  questa  sede  contestata,  il
compenso spettante ai concessionari e' ora calcolato in via residuale
sottraendo al totale delle somme  raccolte  non  soltanto  quanto  in
precedenza esposto, vale a dire: 
        - le vincite pagate ai  giocatori  (che  non  possono  essere
inferiori al 74% degli importi giocati per le AWP e  all'85%  per  le
VLT); 
        - gli importi dovuti  agli  altri  operatori  della  filiera,
gestori ed esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con
gli stessi stipulati; 
        - gli importi dovuti all'Agenzia delle dogane e dei monopoli,
principalmente a titolo di canone di concessione; 
        - gli importi dovuti all'Erario, principalmente  il  PREU  ai
sensi  dell'art.  39,  comma  13,  decreto-legge  n.  269  del  2013,
convertito con legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della
legge n. 266 del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate per  gli
apparecchi AWP ed al 5% per gli apparecchi VLT; ma anche:  
          - il versamento dovuto allo Stato  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 649, lettera  b),  della  legge  n.  190  del  2014  (legge  di
stabilita' per il 2015). 
    4. Il Collegio ritiene che sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
comma 649, della legge n. 190 del 2014. 
    4.1 La questione si presenta all'evidenza rilevante ai fini della
decisione  della   controversia   in   quanto   l'impugnato   decreto
direttoriale del 15 gennaio 2015 e' stato adottato nell'esercizio  di
un potere del tutto  vincolato  e,  in  particolare,  nella  doverosa
applicazione della richiamata norma di legge, sicche' la  definizione
del presente  giudizio  discende  inevitabilmente  dalla  risoluzione
della questione di legittimita' costituzionale. 
    4.2 Detta questione, oltre che rilevante ai fini della  decisione
della controversia, non e' manifestamente infondata alla  luce  degli
insegnamenti della Corte costituzionale in subiecta materia. 
    In una fattispecie per alcuni versi analoga  a  quella  in  esame
(sentenza n. 92 del 22 maggio 2013) la Corte, in continuita'  con  la
propria   consolidata   giurisprudenza   in   materia    di    tutela
dell'affidamento, ha giudicato  costituzionalmente  illegittimo,  per
violazione del principio di ragionevolezza, l'art. 38, commi 2, 4,  6
e 10 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326
del 2003 nella parte in cui determina effetti  retroattivi  in  peius
sul regime dei compensi spettanti ai custodi di veicoli sottoposti  a
sequestro, fermo amministrativo e confisca. 
    In tale circostanza, il Giudice delle leggi ha rappresentato  che
la ragionevolezza complessiva della trasformazione  alla  quale  sono
stati assoggettati i rapporti negoziali deve «essere  apprezzata  nel
quadro di un altrettanto ragionevole contemperamento degli  interessi
- tutti di rango costituzionale, comunque ancorabili al parametro  di
cui all'art. 3 Cost. -  che  risultano  nella  specie  coinvolti;  ad
evitare che una generalizzata esigenza di contenimento della  finanza
pubblica   possa   risultare,   sempre   e    comunque,    e    quasi
pregiudizialmente, legittimata a  determinare  la  compromissione  di
diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi,  sia
individuali, sia anche collettivi». 
    Con specifico riguardo al settore dei giochi in esame, la  Corte,
nella successiva sentenza n. 56 del 2015, ha dichiarato  non  fondata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  79,
della legge n. 220 del 2010, in  riferimento  agli  articoli  3,  41,
comma primo,  e  42,  terzo  comma,  della Costituzione;  tali  norme
prevedono l'aggiornamento dello schema tipo di convenzione  accessiva
alle concessioni per l'esercizio e la raccolta non a distanza, ovvero
comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici, in modo  che  i
concessionari siano dotati dei nuovi «requisiti» e accettino i  nuovi
«obblighi» prescritti, rispettivamente, nelle lettere  a)  e  b)  del
comma 78, e  che  i  contenuti  delle  convenzioni  in  essere  siano
adeguati agli «obblighi» di cui sopra. 
    La legge n. 220 del 2010 (legge di stabilita' per  il  2011),  in
particolare, ha introdotto le norme oggetto di censura a garanzia  di
plurimi interessi pubblici, quali la trasparenza, la  pubblica  fede,
l'ordine pubblico  e  la  sicurezza,  la  salute  dei  giocatori,  la
protezione dei minori e delle fasce di giocatori adulti piu'  deboli,
la protezione degli  interessi  erariali  relativamente  ai  proventi
pubblici derivanti dalla raccolta del gioco; con esse,  sia  i  nuovi
concessionari,  sia  i  titolari  delle  concessioni  in  corso  sono
assoggettati a nuovi «obblighi», in prevalenza di natura  gestionale,
diretti al mantenimento di indici di solidita' patrimoniale per tutta
la durata del rapporto ed  a  questi  si  affiancano  «obblighi»  che
concorrono alla protezione  dei  consumatori  e  alla  riduzione  dei
rischi  connessi  al  gioco  o  che  introducono  clausole  penali  e
meccanismi diretti a rendere effettive le cause  di  decadenza  della
concessione.  Sono  infine  previsti   «obblighi»   di   prosecuzione
interinale dell'attivita' e di cessione non onerosa o di  devoluzione
all'amministrazione  concedente,  su  sua   richiesta,   della   rete
infrastrutturale di gestione e raccolta del gioco  dopo  la  scadenza
del rapporto.  
    Nel caso richiamato, si e' posto in rilievo che  «il  valore  del
legittimo affidamento riposto nella  sicurezza  giuridica  trova  si'
copertura costituzionale nell'art. 3 della Costituzione, ma non  gia'
in termini assoluti  ed  inderogabili.  Per  un  verso,  infatti,  la
posizione giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento  nella
permanenza nel tempo  di  un  determinato  assetto  regolatorio  deve
risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un
periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in  un  contesto
giuridico  sostanziale  atto  a  far  sorgere  nel  destinatario  una
ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso,  interessi
pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti  a
incidere  peggiorativamente  anche  su  posizioni  consolidate,   con
l'unico limite della proporzionalita'  dell'incisione  rispetto  agli
obiettivi di interesse pubblico». 
    Ne consegue che «non e'  affatto  interdetto  al  legislatore  di
emanare  disposizioni  le  quali  vengano  a  modificare   in   senso
sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti  di  durata,
anche se l'oggetto di questi sia  costituito  da  diritti  soggettivi
perfetti,  unica  condizione  essendo  che  tali   disposizioni   non
trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo  a
situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti,  l'affidamento
dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento
fondamentale dello Stato di diritto». 
    Nella fattispecie in esame, gli interessi pubblici tutelati  sono
individuabili nella necessita', a fronte della profonda e  perdurante
crisi finanziaria che ha  progressivamente  colpito  anche  lo  Stato
italiano, di un maggiore concorso agli obiettivi di finanza  pubblica
da parte della filiera che opera nella gestione e raccolta del  gioco
praticato mediante apparecchi di cui all'art.  110,  comma  6,  testo
unico n. 773 del 1931. 
    Al fine di valutare  il  superamento  o  meno  del  limite  della
proporzionalita' rispetto agli obiettivi di  interesse  pubblico,  la
Sezione, con ordinanza del 20 luglio  2015,  ha  disposto  incombenti
istruttori a carico delle parti per individuare, in linea di massima,
in che misura la riduzione del  compenso  di  500  milioni  a  carico
dell'intera filiera incida sui margini di redditivita' della  singola
impresa. 
    La societa' ricorrente ha depositato copia  dei  conti  economici
relativi ai bilanci al 31 dicembre 2013 e al 31  dicembre  2014,  con
una tabella riassuntiva,  per  ciascuno  dei  due  anni,  del  valore
aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione  al  netto
del costo delle materie prime  consumate  e  del  costo  dei  servizi
esterni  e  di  altri  eventuali  costi  di  gestione),  del  margine
operativo lordo (intendendosi per tale il valore  aggiunto  al  netto
del costo del lavoro) e del  risultato  operativo  (intendendosi  per
tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti  e  degli
accantonamenti della gestione tipica)  nonche'  con  indicazione  dei
compensi complessivamente riconosciuti negli anni 2013  e  2014  agli
altri operatori della propria filiera. 
    Da tale documentazione, e'  emerso  che,  generalmente,  rispetto
all'intera filiera, l'incidenza del  versamento  imposto  non  appare
ictu oculi violativo del principio di proporzionalita', vale  a  dire
del  «limite  della  proporzionalita'  dell'incisione  rispetto  agli
obiettivi di interesse pubblico», indicato dalla richiamata  sentenza
della Corte costituzionale n. 56 del 2015. 
    Il Collegio, tuttavia, ritiene che la norma di  cui  all'art.  1,
comma 649, della legge di  stabilita'  per  il  2015  presenti  altri
profili che rendono la questione di legittimita'  costituzionale  non
manifestamente infondata in relazione agli articoli 3 e 41, comma  1,
della Costituzione. 
    Viene qui in rilievo il canone di ragionevolezza,  assurto  nella
giurisprudenza costituzionale a clausola generale, anche quale limite
immanente all'esercizio della discrezionalita' del legislatore. 
    Tale giudizio di ragionevolezza, per lungo  tempo  caratterizzato
dalla necessaria individuazione di un termine di  raffronto  (tertium
comparationis) soltanto a fronte del quale  la  normativa  denunciata
puo' rivelarsi incostituzionale (schema di giudizio ternario), si  e'
via via affrancato dal giudizio di comparazione  ed  e'  divenuto  un
canone autonomo.  
    L'autonomia  della  ragionevolezza  rispetto   al   giudizio   di
eguaglianza   appare   con   tutta   evidenza   laddove   l'art.    3
della Costituzione viene  evocato  congiuntamente  sotto  il  profilo
della  disparita'  di  trattamento   e   sotto   il   profilo   della
ragionevolezza, e la Corte argomenta distintamente per  ciascuno  dei
due profili. 
    Il Collegio ritiene che la norma  contestata  presenti  dubbi  di
compatibilita' costituzionale con riferimento sia  al  profilo  della
disparita' di trattamento sia al profilo della ragionevolezza. 
    Con riguardo alla ragionevolezza, va in primo  luogo  considerato
che l'intervento legislativo e' avvenuto in dichiarata  anticipazione
del piu' organico riordino della misura degli  aggi  e  dei  compensi
spettanti  ai  concessionari  e  agli  altri  operatori  di   filiera
nell'ambito delle reti di raccolta del gioco per conto  dello  Stato,
in attuazione dell'art. 14, comma 2, lettera g), della  legge  n.  23
del 2014. 
    Sennonche', mentre il criterio per il riordino previsto dall'art.
14, comma 2, lettera g), della  legge  n.  23  del  2014  prevede  la
revisione degli aggi e compensi spettanti  ai  concessionari  e  agli
altri operatori «secondo un  criterio  di  progressivita'  legata  ai
volumi di raccolta delle  giocate»,  la  norma  in  contestazione  ha
previsto la riduzione dei compensi in «quota proporzionale» al numero
di apparecchi riferibili ai concessionari alla data del  31  dicembre
2014. 
    Ne consegue che, sebbene sia stato  fatto  specifico  riferimento
alla norma che prevede il criterio di riduzione degli aggi e compensi
secondo un «criterio di progressivita' legata ai volumi  di  raccolta
delle  giocate»,  il  criterio  introdotto  per   ripartire   tra   i
concessionari l'importo totale di euro 500 milioni e' legato  non  ad
un dato di flusso, quale i volumi di raccolta delle giocate, ma ad un
dato fisso, quale il numero di apparecchi esistenti  e  riferibili  a
ciascun concessionario al 31 dicembre 2014 o in sede di  ricognizione
successiva. 
    Tale contraddizione, ad avviso del Collegio, e' di per se' idonea
ad indurre il sospetto che la norma di cui  all'art.  1,  comma  649,
della legge di stabilita' per il 2015 abbia violato sia il  principio
di ragionevolezza che quello di uguaglianza. 
    Premessa,  infatti,  la   contraddittorieta'   intrinseca   della
disposizione che afferma di attuare una norma e poi in concreto se ne
discosta, appare illogico il riferimento ad un dato statico (sia pure
soggetto ad aggiornamento), cioe' il numero di apparecchi  riferibile
a ciascun concessionario ad una  certa  data,  anziche'  ad  un  dato
dinamico, il volume di raccolta delle giocate, in quanto la capacita'
di reddito di ogni singolo concessionario e della relativa filiera e'
misurata in maniera molto piu' propria dall'entita' complessiva degli
importi incassati  che  dal  numero  degli  apparecchi  riferibile  a
ciascun soggetto. 
    Il criterio individuato,  in  altri  termini,  postula  che  ogni
apparecchio effettui uno stesso volume di giocate, il che appare  del
tutto implausibile. 
    Analogamente, il criterio individuato dalla norma sembra  violare
il principio di uguaglianza in  quanto,  essendo  il  riferimento  al
numero  di  apparecchi  riferibile  a  ciascun   concessionario   non
compitamente indicativo  dei  margini  di  reddito  conseguiti  dallo
stesso, la ripartizione della riduzione dei compensi potrebbe  andare
a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano mediamente un
maggior volume di giocate ed  a  detrimento  degli  operatori  i  cui
apparecchi, invece, registrano mediamente un minor volume di giocate. 
    La previsione normativa, in  sostanza,  sembra  avere  violato  i
canoni di ragionevolezza e  parita'  di  trattamento  presumendo,  in
maniera illogica, che ciascun apparecchio da intrattenimento abbia la
stessa potenzialita' di reddito laddove quest'ultima dipende  da  una
molteplicita' di fattori (quali, in primo luogo,  la  differenza  tra
AWP e VLT e, poi, ad esempio, il comune, il quartiere, la  strada  in
cui l'apparecchio e' situato nonche' la  sua  ubicazione  all'interno
del  locale)  che  rendono  implausibile  il  criterio   scelto   dal
legislatore. 
    La violazione del principio di ragionevolezza e  di  uguaglianza,
peraltro, e' individuabile anche con riferimento al fatto che, mentre
la legge delega n.  23  del  2014,  ha  previsto  il  riordino  delle
disposizioni vigenti in materia di giochi  pubblici  e,  quindi,  del
loro intero sistema, la norma in contestazione incide solo sui giochi
praticati mediante apparecchi di cui all'art.  110,  comma  6,  testo
unico n. 773 del 1931 e, per  l'effetto,  e'  destinata  solo  ad  un
segmento, sia pure di enorme rilievo, al suo interno. 
    Va  da  se'  che  la  descritta  irragionevole  ripartizione  del
versamento   imposto   tra   i   concessionari   potrebbe    produrre
un'alterazione del libero gioco della  concorrenza  tra  gli  stessi,
favorendo quelli che, in presenza di una redditivita'  superiore  per
singolo apparecchio, si trovano a versare, in proporzione  al  volume
di giocate raccolte, un importo minore,  per  cui  possono  destinare
maggiori risorse agli investimenti e, in senso piu'  lato,  favorendo
gli operatori del settore dei giochi pubblici diversi  da  quelli  in
discorso. 
    La questione di legittimita' costituzionale della  norma  di  cui
all'art. 1, comma 649,  della  legge  n.  190  del  2014  non  appare
manifestamente  infondata  anche  con  riferimento  alla   violazione
dell'art. 41 della Costituzione che sancisce il principio di liberta'
dell'iniziativa economica privata. 
    Il Collegio rileva infatti che, qualora  si  tratti  di  soggetti
privati  che,  nell'intraprendere  attivita'  d'impresa,   sostengono
consistenti investimenti,  la  legittima  aspettativa  ad  una  certa
stabilita' nel tempo del rapporto concessorio gode di una particolare
tutela  costituzionale,  riconducibile  non  solo  all'art.  3  della
Costituzione, ma anche all'art. 41 della Costituzione. 
    In  particolare,  il  legittimo   affidamento   dell'imprenditore
implica l'aspettativa che le sopravvenienze normative  non  finiscano
per vanificare l'iniziativa economica intrapresa e  gli  investimenti
sostenuti, atteso che, se l'imprenditore evidentemente deve  assumere
su di se' i rischi d'impresa derivanti da mutamenti della  situazione
di fatto, non puo' dirsi  allo  stesso  modo  per  le  sopravvenienze
normative che incidono sulle condizioni  economiche  stabilite  nella
convenzione accessiva al rapporto concessorio. 
    Nel caso di specie, se, da un lato,  il  versamento  imposto  non
appare  prima  facie   violativo   del   richiamato   «principio   di
proporzionalita'» scolpito nella sentenza della Corte  costituzionale
n. 56 del 2015, dall'altro, la determinazione in misura fissa  e  non
variabile del contributo imposto, in quanto destinato  ad  operare  a
tempo  indeterminato,  potrebbe  potenzialmente  produrre   un   peso
insostenibile per gli  operatori  della  filiera  ove  i  margini  di
redditivita' della stessa dovessero consistentemente ridursi. 
    In altri termini, se con riferimento ai dati del conto  economico
2014, il versamento  imposto  alla  ricorrente,  pur  costituendo  un
significativo «taglio» alla sua capacita' di reddito, non appare tale
da  violare  il  «principio  di  proporzionalita'»  in  un'ottica  di
bilanciamento tra  interessi  costituzionalmente  rilevanti,  non  e'
possibile  escludere  che,  ove  i  volumi  delle  giocate   raccolte
dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione  del  versamento
in misura fissa e non  variabile,  come  funzione  del  volume  delle
giocate,  potrebbe  determinare   un   reale   stravolgimento   delle
condizioni  economiche  pattuite  in  convenzione   con   conseguente
eccessiva gravosita' degli obblighi imposti per i concessionari ed  i
relativi operatori di filiera. 
    Parimenti irragionevoli e lesive  della  liberta'  di  iniziativa
economica dell'impresa si rivelano poi le previsioni, contenute nelle
lettere a) e c) del secondo comma dell'art. 1, comma 649 della  legge
di stabilita' per il 2015, secondo cui «ai concessionari  e'  versato
dagli operatori di filiera  l'intero  ammontare  della  raccolta  del
gioco praticato  mediante  i  predetti  apparecchi,  al  netto  delle
vincite pagate» e «i  concessionari,  nell'esercizio  delle  funzioni
pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli  altri  operatori  di
filiera  le  somme  residue,  disponibili  per   aggi   e   compensi,
rinegoziando i relativi contratti e  versando  gli  aggi  e  compensi
dovuti esclusivamente a fronte  della  sottoscrizione  dei  contratti
rinegoziati». 
    Tali disposizioni appaiono idonee a  riflettersi  sulla  liberta'
contrattuale di tutti gli operatori della filiera. 
    In  particolare,  per  quanto  riguarda   i   concessionari,   il
meccanismo imposto dal legislatore,  di  inversione  del  flusso  dei
pagamenti  attraverso  cui  si  e'  sino  ad   ora   proceduto   alla
remunerazione  del  settore  (oggetto   di   specifiche   pattuizioni
contrattuali), aumenta il rischio, cui sono esposti i  concessionari,
del mancato adempimento degli obblighi gravanti sugli altri operatori
della filiera, senza che tale circostanza faccia comunque venire meno
l'obbligo dei concessionari  medesimi  di  versare  allo  Stato,  nei
termini   indicati,   l'importo,   concernente   l'intera    filiera,
quantificato nell'impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015. 
    La profonda modifica dell'assetto della concessione, non  risulta
invero  controbilanciata  dal  mero  obbligo  di  rinegoziazione  dei
contratti imposto, a cascata, nei rapporti con gli operatori  interni
alla filiera, sia in quanto la concreta modifica di tali rapporti  e'
rimessa (ne' potrebbe essere diversamente) alla libera volonta' delle
parti, sia perche' i concessionari non sono stati dotati di strumenti
diversi   dagli   ordinari   rimedi   contrattuali   per   conseguire
l'adempimento delle obbligazioni dei gestori, cosi' come,  almeno  in
parte,  direttamente  e  innovativamente  conformate   dallo   stesso
legislatore. 
    Cio' senza dire che, sebbene  non  rilevi  nella  fattispecie  in
esame, anche la stessa imposizione autoritativa della rinegoziazione,
riguardata dal lato  dei  gestori,  si  appalesa  lesiva  della  loro
liberta' di iniziativa economica e negoziale nonche' dell'affidamento
nella percezione del compenso quale in precedenza contrattato. 
    5.  Per  tutte  le  ragioni  sopraesposte,  il  Collegio  ritiene
rilevante  ai  fini  della  decisione  della   controversia   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del  2014  per  violazione
degli articoli 3 e 41, primo comma, della Costituzione. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  affinche'  si
pronunci sulla questione.